BLOG

#sustainablefahion : cosa sta succedendo?

La sensibilità ecosostenibile aleggia nel mondo della moda da qualche anno, ma soltanto negli ultimi mesi sembra aver preso un ruolo di rilievo nei forum del fashion design.

I più famosi brands mondiali si stanno mobilitando per ridurre le emissioni di CO2 , gli scarti delle lavorazioni e l’utilizzo di acqua nei processi industriali.

Durante le esposizioni di settore si iniziano finalmente ad intravedere delle proposte concrete ed attuabili, ma lo scoglio più duro da affrontare sarà di certo il costo del prodotto finale.

Da un interessantissimo incontro avvenuto durante Première Vision Paris si è discusso di come l’utente finale percepisca la moda ecosostenibile, di quali sono le caratteristiche per lui essenziali affinchè un prodotto venga considerato “green” e di quanto sarebbe disposto a spendere per averlo. I risultati si sono rivelati interessanti poichè per il pubblico europeo la caratteristica fondamentale per un prodotto green consiste nel non utilizzare agenti chimici durante la sua lavorazione, mentre per il pubblico USA si rivela di maggior importanza la condizione lavorativa degli operai ed il luogo di produzione.

E’ stato chiesto inoltre agli intervistati quali fossero secondo loro i materiali più inquinanti del fashion system e con grande stupore si è notato che la pelle non è vista come “demone”, ma rientrando nella famiglia di ciò che è presente in natura da una percezione  più eco-friendly.

Alla domanda “sei disposto a spendere di più per avere un prodotto ecosostenibile?” la maggior parte degli intervistati ha risposto di sì a patto che sia chiara e certificata la catena produttiva di quell’articolo. Alla luce di questo risultato, diventa una necessità primaria quella di rendere trasparente la supply chain al fine di dare al concetto di “sostebilità” un valore che comprenda materiali, ambiente, trasporti e condizioni di lavoro.

Secondo il “fashion  transparency index ” stilato dall’associazione Inglese FASHION EVOLUTION i migliori 5 brands al mondo 2018 per tracciabilità sono Adidas, Reebok, Patagonia, Esprit ed H&M.

Il primo dato che salta all’occhio è  il fatto che tutti facciano parte di una fascia prezzo medio – bassa destinando quindi i propri articoli al mercato di larga scala; è possibile quindi una moda etica ad un prezzo sostenibile per i più? Il dato certo è che a livello produttivo la moda sostenibile è particolarmente onerosa e che il concetto di “sostenibilità” è così vago che a volte sembra quasi inflazionato.

La speranza è che questa rivoluzione sia vista davvero come  una necessità e non soltanto come una tendenza, la nostra Azienda è da sempre sensibile all’argomento e continuiamo ed investire in ricerca relativa a nuove tecnologie , materiali e processi a basso impatto ambientale.

 

La moda come urlo sociale: Gucci Cruise 2020

Gucci cruise 2020

Che la moda sia indiscutibilmente riconosciuta come forma artistica è ormai un dato certo, ma ogni volta che utilizza il proprio potere mediatico per sollevare problemi sociali crea scalpore. Mai tanto attuale può essere l’esempio per la sfilata ai Musei Capitolini di Gucci Cruise 2020 attraverso la quale il direttore artistico della maison,  Alessandro Michele, mixa richiami pagani, epoca simbolo della libertà, ad inserti provocatori in segno di protesta contro la rinata discussione della legittimità dell’aborto nei paese occidentali. Il tutto senza dimenticare mai uno stile ricercatissimo e carico di dettagli prestigiosi. Ai musei Capitolini si respira aria di una civiltà arcaica e lussuriosa, libera dai dogmi imposti dalla storia, che hanno da sempre focalizzato i loro limiti sul corpo femminile, espressione troppo bella e perfetta della natura per essere lasciata libera di esprimersi. Alessandro Michele non lascia troppo spazio all’interpretazione dando dei messaggi chiari sin dall’ingresso in cui campeggia un lenzuolo  in cui cita  Paul Venye, Et dans l’éternité je ne m’ennuierai pas: “solo l’antichità pagana ha risvegliato il mio desiderio, perché era il mondo di prima, perché era un mondo abolito”. Si prosegue con i ricami sui capi tra cui la data 22.o5.1978 (data dell’approvazione della legge 194 per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza) o il disegno di un utero femminile a significare che le donne sono le sole a poter decidere del proprio corpo.

Gucci cruise 2020

Michele riprende le redini della protesta femminista, iniziata da Coco Chanel che vestì le gambe delle donne con dei comodissimi pantaloni , proseguita da Mary Quant e le sue minigonne tanto provocatorie quanto vere, senza dimenticare Gina Pane che attraverso le sue installazioni  di body art  ha fatto da megafono all’urlo di libertà femminile. Che si riparta quindi da qui, dalla moda che non solo veste le donne, ma che le difende nei loro diritti e nella loro libertà espressiva.